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febbraio 17th / By Comprare Casa a Londra

Comprare una casa a Londra: una guida pratica alle successioni e alla tassazione/2

È alquanto complicato tentare di tratteggiare uno studio comparativo tra Italia e Regno Unito in materia di successione, tassazione e diritti e doveri delle coppie di fatto. I due ordinamenti, come è risaputo, poggiano su tradizioni legislative, giurisprudenziali e consuetudinarie del tutto differenti. Da un lato la tradizione prettamente orale e consuetudinaria del Common Law forgia ormai da centinaia di anni la mente del Legislatore e del Giudice del Regno Unito, dall’altra, invece, una tradizione prevalentemente scritta e altrettanto centenaria di Civil Law determina il nostro ordinamento. E ancora, se da un lato l’influenza della tradizione Cristiana Cattolica è innegabile, dall’altro la maggioranza Anglicana del Paese, deve ad Enrico VIII il suo anticonformismo e la tradizionale apertura alle “nuove sfide” che il mondo contemporaneo inevitabilmente sottopone. §1: Coppie di Fatto – Evoluzione normativa – Situazione attuale – Diritti e Doveri In materia di unioni civili, nel Regno Unito una normativa chiara e specifica in materia di coppie di fatto esiste ed è fiorente. Una tra tutte il Civil Partnership Act 2004, entrato in vigore il 5 dicembre 2005 che, tra le altre, riconosce anche le unioni civili tra appartenenti allo stesso sesso e di fatto estende ai conviventi esattamente gli stessi diritti e doveri dei coniugi. Non sussiste differenza alcuna tra conviventi e coniugati nel Regno. Esiste un regolare Registro delle unioni civili e vi vengono trascritte le unioni tra persone di sesso diverso ovvero dello stesso sesso a patto che abbiano compiuto sedici anni. Niente di più semplice. Certo, anche nel Regno inizialmente la regolamentazione delle unioni civili non era stata accolta di buon grado. In particolar modo la frangia Cristiana dei Parlamentari aveva storto il naso a fronte di una tale normativa, considerandola una via “troppo facile” per le coppie eterosessuali con conseguente svalutazione del matrimonio. La situazione che si registra in Italia, al contrario, è nettamente diversa. Se da un lato già nel 1986 si registrano i primi timidi accenni ad una discussione sulle unioni civili in Parlamento, dall’altro nel 2000, su pressione del Parlamento Europeo, finalmente il Legislatore sembra essere pronto ad una normativa ad hoc: si parla di DICO ma tutto cade nuovamente nel nulla. Sull’argomento, in Italia, a differenza del Regno Unito, la vera “evoluzione – rivoluzione” è da individuarsi nella giurisprudenza. Nel 2012, infatti, la Corte Costituzionale riconosce le coppie di fatto (in tal caso omosessuali) ammettendone il diritto alla vita familiare. Anche in tal caso, tuttavia, il Legislatore è rimasto silente. Unico è l’ambito in cui non è dato rilevare differenze tra coppie di fatto e coniugi: la prole. I figli, infatti, conservano immutati i propri diritti e doveri a prescindere dal fatto che siano stati generati in costanza di matrimonio ovvero in regime di convivenza. Mancando allo stato, una disciplina del rapporto di convivenza al di fuori del matrimonio, si è discussa la possibilità, per le coppie di fatto, di disciplinare in maniera autonoma la convivenza attraverso l’ammissibilità di una disciplina contrattuale. In tal senso si è in continua evoluzione: nell’ambito della libertà contrattuale, infatti, le coppie di fatto potenzialmente potrebbero ad esempio regolare il diritto di abitazione in caso di cessazione della convivenza ovvero nominarsi l’un l’altro come amministratori di sostegno. Unico ambito nel quale la volontà contrattuale non trova ambito di applicazione è in materia di successioni. Il patto di convivenza, infatti, non può avere rilevanza in sede di successione a causa di morte in quanto nel nostro ordinamento sussistono due principi inderogabili: il divieto di patti successori e l’intangibilità’ della legittima. Ne deriva dunque che i conviventi possono ereditare dal proprio partner ma solo nell’ambito della quota disponibile. In Gran Bretagna, al contrario, ove come detto esiste una normativa specifica in materia di unioni civili, non si rileva alcuna differenza tra coppie di fatto e coniugati. Ne consegue, dunque, che il convivente viene equiparato al coniuge in caso di successione mortis causa, unica condizione è che siano ancora una coppia di fatto al momento del decesso. In tal caso è necessaria una distinzione: se l’asse ereditario è inferiore a 125 mila Sterline e anche in presenza di figli del de cuius, il convivente è comunque erede universale, qualora al contrario l’asse ecceda il valore di cui sopra, il convivente, in presenza di figli o comunque discendenti in via diretta erediterà una quota variabile. In particolare il convivente superstite erediterà i primi 125 mila Sterline salvo mantenere un diritto di usufrutto sulla metà del restante asse ereditario. E, infine, qualora l’asse ereditario sia valutato oltre i 200 mila Sterline e il de cuius non abbia discendenti in via diretta ma siano superstiti solo i genitori, allora il convivente superstite erediterà i primi 200 mila Sterline e una quota pari ad un terzo del patrimonio restante oltre il valore detto. §2: Imposte di successione a confronto: il caso inglese e quello italiano. In materia di imposte di successione, invece, l’approccio favorevole del Regno Unito in materia di coppie di fatto non sembra replicarsi. In tal caso il Legislatore italiano è stato sicuramente più clemente. Cominciamo con il dire che in Gran Bretagna la quota al di sotto della quale non è dovuta alcuna imposta di successione è pari a 325 mila Sterline e l’imposta di successione è pari all’incirca al 40% dell’asse ereditario, valore che, in determinate ipotesi può ridursi fino al 36%. Parimenti soggetti passivi di detta imposta in genere non sono gli eredi bensì il c.d. esecutore testamentario (nell’ipotesi in cui il de cuius muoia ab intestato) ovvero il c.d. amministratore dell’eredità (qualora il de cuius muoia senza alcuna volontà). L’imposta di successione deve essere corrisposta entro 6 mesi dalla morte del de cuius, pena il maturare degli interessi. Come detto, in alcune ipotesi, la percentuale dell’imposta di successione può diminuire, tra gli altri il caso in cui almeno il 10% dell’asse ereditario venga destinato ad una charity. Nel caso particolare in cui cada nell’asse ereditario la dimora del defunto e siano superstiti un coniuge ovvero il convivente si possono verificare due ipotesi: da un lato questi ultimi ereditano automaticamente la quota della casa che apparteneva al de cuis se erano in regime di joint tenants, dall’altro, al contrario, se erano in costanza di tenants in common, ognuno dei coniugi o dei conviventi è libero di lasciare la quota di appartenenza della casa a chi desidera. Se erede universale è il coniuge o il convivente non è dovuta imposta di successione alcuna, a patto che quest’ultimo viva permanentemente nel Regno Unito. In particolar modo, nel caso in cui l’asse ereditario di uno dei coniugi o convivente risulti essere inferiore al valore suddetto di 325 mila Sterline, tale asse può essere trasferito al coniuge o convivente superstite che, dunque, andrà esente dall’imposta di successione per un valore totale di 650 mila Sterline totali. Una particolare attenzione merita di essere data alle donazioni. In questo caso, infatti, vale la 7 years rule ovvero se la donazione avviene in un periodo precedente di sette anni alla morte del de cuius allora il bene non entra nel computo dell’asse ereditario e, dunque, non sconta imposta di successione. Se, al contrario, il donante decede prima che siano decorsi i sette anni dalla donazione, il valore di quest’ultima entra a far parte dell’asse ereditario e contribuisce ad innalzare il valore dell’imposta di successione. In Italia, invece, per quanto concerne i beni ereditati dal coniuge o dai parenti in linea retta l’aliquota dell’imposta di successione è pari al 4% con una franchigia di 1 milione di Euro. La franchigia si abbassa a 100 mila Euro qualora ad ereditare siano i collaterali e sull’eccedenza è prevista un’aliquota pari al 6%. Infine, nel caso di parenti entro il quarto grado, affini in linea retta e affini in linea collaterale fino al terzo grado l’aliquota è sempre pari al 6% ma non è prevista alcuna franchigia. In tutti gli altri casi l’imposta è pari all’8%. Non sono compresi nell’attivo ereditario e, pertanto, sono esenti dall’imposta, tutti i titoli del debito pubblico e altri titoli garantiti dallo Stato o equiparati, compresi i titoli degli Stati appartenenti all’Unione Europea. Ancora, è bene comunque ricordare che la successione di beni immobili è comunque soggetta alle imposte ipotecaria e catastale, nelle misure rispettivamente del 2% e dell’1%. Il caso pratico. Il valore stimato del patrimonio di Mr. Edward, vedovo, si aggira intorno ai 500 mila Sterline così composto: la casa familiare valutata 300 mila Sterline e denaro contante detenuto presso un conto corrente per un ammontare di 200 mila Sterline. Preoccupato dell’ingente somma che il proprio figlio dovrà versare al Governo Inglese quale inheritance tax pari al 40% del valore suddetto e cioè 70 mila Sterline (il 40% del valore eccedente la franchigia di 325 mila Sterline), cerca di comprendere quale sia la soluzione migliore per la sua fattispecie. Si rivolge a Mrs. Clementine, avvocato specializzato in cespiti ereditari, che consiglia di disporre una donazione di almeno 200 mila Sterline a favore del figlio. Così facendo, se viene rispettata la regola del 7 years, l’asse ereditario verrà nuovamente valutato a 300 mila Sterline e non sarà dovuta alcuna inheritance tax, in quanto l’ammontare del patrimonio sarà al di sotto della franchigia prevista.

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